di MARCO CICCHELLI

La suinicoltura biologica in particolare e la zootecnia bio in generale possono essere un modello da estendere agli allevamenti intensivi in particolare per produzioni di qualità avendo il benessere animale come elemento portante?

Ne parliamo con Enrico Tesio, vulcanico medico veterinario di Manta di Saluzzo (CN), e fondatore e presidente dal 2002 della Cooperativa “La Sorgente s.c.a.r.l.” di Saluzzo che è nata proprio con l’obiettivo di sviluppare ed organizzare l’allevamento del suino da agricoltura biologica e di commercializzare la produzione dei soci allevatori, ed ormai è una affermata realtà economica e produttiva.

Nel suo curriculum una tesi magistrale 110 lode e dignità di stampa sulla comunicazione acustica della marmotta, un Master di primo livello in Management dell’impresa cooperativa, varie consulenze nel settore della zootecnia biologica, fra l’altro sui sistemi di autocontrollo e gestione per alcune aziende biologiche di galline ovaiole, e varie ricerche e collaborazioni sul benessere animale e sulla zootecnia biologica, organizzate dal CRPA di Reggio Emilia e dal CRA di Modena e ultimamnete la sua ultima passione: sperimentare l’allevamento di grilli ai fini alimentari e mangimistici. Un vero personaggio, con la passione anche per la buona cucina e lo sport.

La suinicoltura biologica: una strada per allevamenti di qualità che rispettano il benessere animale e l’ambiente

Dottor Tesio, la suinicoltura intensiva cosi come la conosciamo, con anche i suoi problemi di inquinamento, concentrazione di animali in capannoni, maltrattamenti ecc, (emersi anche da diverse inchieste giornalistiche) è ancora un modello propoponibile per sostenere la filiera dei prodotti italiani di trasformazione delle carni suine che restano un’invidiata eccellenza mondiale?
Nel corso del 2018 le macellazioni suine in Italia continuano infatti a diminuire, proseguendo il trend negativo registrato durante il 2017. Si conferma invece la tendenza positiva per le esportazioni dei prodotti a base di carne suina trasformata (2% sia in valore che in volume (Dati ISMEA).

Mentre i prodotti trasformati italiani sono molto apprezzati e l’industria di trasformazione agroalimentare è spesso il benchmark mondiale, così non è mai stato per l’allevamento

“Raccontarsi su questo l’enorme frottola di essere più bravi degli altri aiuta solo a stare al palo ed a non evolvere. Sono spesso proprio il bagaglio della tradizione, i disciplinari delle DOP e tutta la fantasia retorica che si vuole raccontare su questi prodotti a bloccare l’evoluzione ed il miglioramento della zootecnia nazionale.

Sì pensi che oggi nel 2019 il disciplinare del Prosciutto di Parma e San Daniele impone all’allevatore il maltrattamento degli animali obbligandolo a pratiche di “tracciabilità” ormai medievali con l’apposizione del tatuaggio su entrambe le cosce su tutti i maialini a 30 giorni di vita, ed obbliga gli allevatori a scelte di allevamento che sono scientificamente più impattanti dal punto di vista ambientale, in difesa di una tipicità del prodotto che in realtà serve solo a garantire il privilegio di qualche posto di potere (in ANAS, IPQ e Consorzi)  fregandosene del Po, della Pianura Padana e dei suoi abitanti.

Parlare di filiera nel mercato nazionale del suino è piuttosto fuorviante, direi che è più simile al mercato di Marrakech, la trasparenza e pressoché nulla, gli allevatori non si fidano dei macellatori e chissà com’è nei passaggi successivi.

Non si fanno scelte basandosi su dati, non ci sono significativi dati di feedback all’allevatore. E’ una situazione pessima rispetto a tutti gli altri principali mercati europei, situazione che impedisce o addirittura castra pressoché ogni strategia di miglioramento, a discapito dell’ambiente e dei consumatori.”.

Detto così, il quadro non è certo idilliaco. Qual è quindi il ruolo che può avere l’allevamento biologico  nel cambio di paradigma ambientale e delle tecniche di allevamento? 

Alcuni sostengono che l’agricoltura e la zootecnia biologica in generale siano peggiorative sull’ambiente rispetto alle produzioni intensive.

Io credo al contrario che il bio dovrebbe essere visto non come un ritorno al passato, ma come il laboratorio dove sperimentare metodi di produzione e tecniche che in parte possano poi essere estese anche alle produzioni non biologiche.

Mi rendo conto che la mia è una visione del biologico originale, non sempre condivisa, tuttavia negli anni la mia esperienza mi porta a credere che questa sia veramente una strada percorribile, per la quale servono investimenti, ricerca, condivisione delle conoscenza.

In merito poi alla prima affermazione, cioè l’osservazione in parte condivisibile, che la perdita di produttività delle produzioni biologiche comportino un eccessivo impiego di risorse rispetto a quanto ottenuto, io credo che se andiamo a considerare l’azienda biologica nel suo complesso, magari in un periodo di tempo abbastanza lungo (4-5 anni) forse l’affermazione non è completamente corretta.

Dall’integrazione fra agricoltura e allevamento biologico opportunità per l’economia delle imprese e un ambiente migliore

L’integrazione tra zootecnia ed agricoltura, il maggior numero di cicli di coltivazione che vengono intrapresi dalla azienda biologica, la maggiore varietà di specie coltivate, il quasi nullo utilizzo di prodotti chimici, il mantenimento della fertilità del suolo, la sostenibilità economica della azienda e la soddisfazione (e magari la salute) delle persone che vi lavorano, fanno la differenza.

Forse, con un approccio olistico, il drastico giudizio iniziale potrebbe essere ribaltato. Si tratta però di valutare gli effetti complessi di un sistema complesso nel tempo.

Su circa 10-12 milioni di capi suini allevati qual è la situazione e quali sono le prospettive di mercato del suino bio?

I costi di allevamento superiori possono venir remunerati e come è possibile garantirsi sbocchi di mercato in cui la tracciabilità (luogo/nazione  e modalità produttive) siano chiare e comprensibile dal consumatore?

“I costi di allevamento superiore sono stati in genere renumerati e sono stati abbondantemente traslati al consumatore che, nonostante negli anni ci siano stati diversi scandali e truffe sul biologico, non ha mai perso la fiducia in questo tipo di produzioni.

Oggi il consumatore del bio europeo – e non solo -mette in ordine decrescente di valore biologicità, tipicità, provenienza. Quando un Paese esportatore come il nostro capirà che questo è un vantaggio saremo a buon punto“.

Suinicoltura biologica Coop La Sorgente Saluzzo

Benessere e salute animale devono essere obiettivo assoluto delle tecniche di allevamento Il bio può essere un modello anche per gli allevamente intensivi

Quanto influisce il benessere animale sul prodotto finale? Cioè la carne e soprattutto il prodotto trasformato a lunga conservazione? Gli allevatori possono e/o devono anche diventare trasformatori per garantirsi economie di scala?

“Chi se ne frega se il benessere animale ha un impatto organolettico su ciò che mangiamo, se anche fosse negativo (e c’è persino chi lo pensa per alcuni prodotti): non ci può mai essere una giustificazione per maltrattare gli animali.

Non credo invece che gli allevatori debbano cambiare mestiere per garantirsi un reddito, anzi, ho visto negli anni il ripetersi di folli politiche agricole che incentivavano questa pratica e penso che sia quanto di più deleterio possa avvenire in agricoltura”.

L’Italia può nella produzione di suini cambiare modalità di allevamento (non necessarimento bio, ma abbandonando l’intensivo e coprire almeno la quota attuale che viene dal mercato interno?

“L’Italia deve cominciare a dare i numeri e piantarla di coccolarsi con l’autocompiacimento acritico e ascientifico. L’Italia ha una delle industrie di trasformazione alimentare più grandi del mondo, ed esporta un sacco di prodotti finiti, non c’è nulla di strano che importi materie prime da trasformare.

Si dovrebbe lavorare per produrre in modo meno impattante e con maggiore attenzione al benessere animale soprattutto negli allevamenti intensivi. Oggi molte organizzazioni impongono all’allevatore di fare il contrario. Gli allevamenti intensivi non possono essere cambiati da un giorno all’altro, ma devono evolvere in queste due chiare direzioni“.

Al lavoro per realizzare una scrofaia biologica modello ad Alessandria

Lei è coinvolto, con la Cooperativa La Sorgente, Città del Bio Promozioni e altri partner importanti, compreso un leader del settore mangimistico, nel progetto di una scrofaia biologica innovativa ad alta sicurezza per il benessere animale e la sicurezza alimentare da realizzare ad Alessandria. Cosa prevede?

“Il progetto consiste nel realizzare una scrofaia al meglio dello stato dell’arte attuale – e magari un po’ di più – in merito a benessere animale e produzione biologica, con standard sanitari elevati ed indenne da alcune malattie del suino.

E’ un obiettivo realizzabile, che richiede un investimento importante che potrà essere portato a termine attraverso la collaborazione di altri gruppi di produttori, dove La Sorgente potrà apportare la sua esperienza accumulata in quasi 18 anni di lavoro.

Attualmente siamo in una fase dove si è consolidato un affiatato gruppo di lavoro che sta viaggiando in Europa e facendo brain storming per fissare i principali paletti, ed è in fase avanzata la ricerca dei fondi e la strutturazione organizzativa. Durante l’estate, se il tutto verrà approvato dai soci delle diverse strutture cooperative coinvolte, si procederà alla progettazione, alla scelta dei fornitori e poi nell’autunno alla sua realizzazione”.