Italia del bio Magazine ha posto 7 domande ai  candidati Presidente per la Regione Piemonte sui temi dell’agricoltura biologica e in generale sulla educazione alimentare e la tutela dell’ambiente e della salute attraverso produzioni di qualità.

Le risposte di Sergio Chiamparino, candidato per la coalizione di centro sinistra

1. Il mercato sta chiedendo sempre più prodotti da agricoltura biologica. Ma la produzione italiana è inferiore alla domanda. Dalla lettura dei dati del rapporto SINAB 2018 il Piemonte è sotto la media nazionale sia come percentuale dei produttori biologici sul totale dei produttori agricoli (3,9% contro il 4,5% medio) che per le superfici coltivate (4,9% contro il 15,4). Cosa intende fare la Regione per incrementare produzione e terreni coltivati con metodo biologico per avvicinare la media nazionale?

La media nazionale è fortemente influenzata dall’espansione delle SAU coltivate con metodo biologico nelle regioni del mezzogiorno, anche per le condizioni climatiche delle stesse. Tuttavia il nostro impegno andrà in questa direzione già nel confronto che avremo con il Governo nella definizione degli indirizzi nazionali in relazione alla nuova PAC 2021-2027, in particolare in merito al capitolo relativo ai regimi a favore del clima e dell’ambiente. Come noto si tratta di un sostegno volontario che ogni Stato membro dispone per sostenere azioni finalizzate ai cosiddetti “regimi ecologici”, definendo nei piani strategici nazionali le condizioni di accesso per ottenere il contributo annuale per ettaro per gli agricoltori che si impegnano a osservare determinate pratiche agricole. Tra cui l’agricoltura biologica e biodinamica ovviamente assume ruolo centrale. Si tratterà però di evitare solo meri automatismi, ma legare gli interventi a reali politiche attive.

2. La maggiore attenzione dei consumatori verso i prodotti biologici possono spingere operatori eticamente non corretti verso scelte di natura truffaldina. Non ritiene che sia necessario andare oltre la tradizionale certificazione di processo, incentivando strumenti innovativi – quali ad esempio le tecnologie blockchain – per rendere trasparente per il consumatore sia il processo che il prodotto?

La tecnologia blockchain è un possibile strumento utile nella direzione di rendere leggibile per il consumatore tutto il processo di produzione e trasformazione dei prodotti agro-alimentari. Sicuramente non è risolutivo, come per altro nessun altro strumento informatico, per evitare le possibili truffe. Tuttavia, consentendo di avere certezza su chi immette il dato, è più agevole per le strutture deputate a difendere la salute dei consumatori poter intervenire tempestivamente. Già negli attuali bandi legati al PSR vigente sono presenti proposte relative alla realizzazione di sistemi di tracciabilità. Per altro in questa direzione siamo andati in questi anni, ad esempio sulla vicenda del riso. Dovremo tenerne conto nella definizione della strumentazione del futuro nuovo PSR 2021-2027. Anche perché la tecnologia sta evolvendo con grande rapidità e ci risulta che lo stesso MISE stia lavorando proprio sulle tecnologie blockchain.

3. Si sta per aprire un nuovo periodo temporale di pianificazione della politica agricola comunitaria. Al netto delle dimensioni dei finanziamenti, questione questa legate ai temi del bilancio comunitario problematico anche in presenza della Brexit, come intende contribuire la regione Piemonte al confronto nazionale ed europeo per modificare a favore delle produzioni biologiche la strumentazione incentivante?

Come prima ho detto la stessa attenzione che l’UE dedica al tema della tutela del clima e dell’ambiente, prevedendo uno specifico “regime ecologico” delle coltivazioni, sarà da noi dedicata nel confronto nazionale prima e poi nella definizione puntuale del nuovo PSR. Sarebbe cecità non tenere conto dello sviluppo che i consumi di prodotti Bio continua a manifestarsi perfino in controtendenza con la contrazione dei consumi alimentari in genere a seguito della crisi economica da cui non siamo ancora usciti. Sarà nostra cura non condurre il confronto a livello nazionale prescindendo dal coinvolgimento di tutte le associazioni del settore. Tra cui ovviamente comprendiamo Città del Bio, in virtù della sua composizione che vede solo enti locali associati. E che quindi soffre meno di altre pur importantissime realtà di stimoli di natura più privatistica provenienti dai relativi associati. Inoltre da troppo tempo manca un quadro normativo nazionale avanzato sul biologico e lo sforzo compiuto nella passata legislatura – anche grazie a Città del Bio – che ha consentito di arrivare all’approvazione di un testo condiviso in un ramo del Parlamento, non ha prodotto l’effetto conclusivo. Qualora anche questa legislatura ritardi nell’approvazione, dovremo ragionare su un quadro regionale che anticipi il percorso nazionale – nei limiti ovviamente delle nostre prerogative – ad esempio favorendo la nascita e poi il mantenimento dei Biodistretti.

4. Registriamo una lamentazione pressoché generalizzata da parte di molti operatori del settore, sulla lentezza e complessità della burocrazia regionale: ritardi nell’espletamento dei bandi, vincoli burocratici eccessivi, eccessiva complessità delle norme. Come intende ovviare procedendo verso una amministrazione amica e non resistente per accompagnare i produttori verso un uso corretto e insieme semplificato degli strumenti di incentivazione?

La netta separazione normativa, giusta certamente, tra politica e gestione, con la prima che fissa gli obiettivi e la dirigenza che gestisce, se ha teso a rendere più terza l’amministrazione, ha però attribuito ai dirigenti un alto livello di responsabilità personale. Che spesso porta a costruire iter di processo che li tutelino talvolta perfino oltre ogni limite. Non solo. Ma le stesse procedure imposte dall’UE, che considera spesso il nostro Paese come un luogo in cui vi è ancora un alto tasso di pratiche corruttive, rendono le pratiche più complesse di quel che dovrebbero essere. Si aggiungano infine le ordinarie resistenze al cambiamento che sempre emergono ogni volta che la politica tende a semplificare e velocizzare i processi. Tuttavia hanno ragione a lamentarsi. La reingegnerizzazione dei processi, accompagnata da una seria azione di semplificazione, deve essere all’ordine del giorno dei prossimi anni di lavoro.

5. I concetti cardine delle produzioni biologiche fanno riferimento alla stagionalità, al rispetto dell’ambiente riducendo l’uso di pesticidi e di sostanze chimiche, alla tutela della salute sia del produttore che del consumatore. L’educazione alimentare fin dalla prima infanzia nelle scuole materne ed elementari diviene uno degli strumenti fondamentali per una politica della sicurezza alimentare e del rispetto dell’ambiente. Cosa intende fare la Regione per far sì che simili azioni superino lo stadio dell’episodicità per divenire elementi stabili e portanti del processo educativo?

Spesso la settorialità con cui lavora la pubblica amministrazione italiana, retaggio di un sistema di finanziamento pubblico a strisce, fa sì che i diversi settori poco si parlino. È un problema di politiche quindi. Occorre che l’agricoltura venga considerata come un fattore determinante dell’economia italiana e che l’agroalimentare, soprattutto sul versante della sicurezza alimentare – che incide anche sulla spesa sanitaria in maniera significativa – diventi una priorità nazionale. Cosicché, al pari dell’educazione civica, anche l’educazione alimentare entri a pieno titolo nelle scuole, soprattutto nei primi anni di frequenza dei ragazzi, sicuramente più attenti a questi temi. Cercheremo di lavorare anche in questa direzione.

6. Nell’ambito dell’educazione alimentare un ruolo centrale lo assume la ristorazione collettiva. Parigi e l’Ile de France hanno costruito un piano d’avanguardia per quanto riguarda la ristorazione collettiva: incremento del prodotto biologico, riduzione delle distanze coperte per il trasporto dei prodotti, politiche che legano il reperimento del prodotto ad impegni per la coltivazione biologica ad esempio su tutte le aree ove l’acquedotto parigino preleva l’acqua. Ritiene che la Regione debba svolgere un ruolo di stimolo per modificare sostanzialmente l’attuale sistema di produzione ed erogazione dei pasti nelle scuole e soprattutto nelle strutture sanitarie ed assistenziali? E se si in che modo?

Un ruolo rilevante nel segmento della ristorazione collettiva l’hanno gli enti locali. Di fatto lei ci porta l’esempio della città di Parigi. Tuttavia anche le regioni debbono fare la loro parte. Ad esempio per quanto riguarda la ristorazione negli ospedali e nei luoghi di assistenza e cura delle persone. Dove maggiore dovrebbe essere posta l’attenzione alla qualità. Sicuramente non aiuta la scarsità di risorse economiche che spesso ha spinto le amministrazioni a concentrarsi di più sul prezzo. Vi sono tuttavia nel quadro normativo vigente alcune norme che, correttamente interpretate, possono già oggi favorire questi processi. Mi riferisco ad esempio alle norme che consentono ai comuni di rapportarsi direttamente con le imprese agricole del territorio per effettuare determinati interventi, dallo sgombero neve alla manutenzione delle strade campestri, al taglio dell’erba. Una norma di interpretazione autentica che inserisca tra le opportunità anche la fornitura di prodotti agro-alimentari per le mense scolastiche direttamente dalle aziende del territorio potrebbe fornire agli enti locali un aiuto nella definizione delle loro politiche alimentari. Ma anche su questo tema dovremo lavorare tra le regioni e lo Stato per costruire non degli interventi, ma delle politiche.

7. Al momento parrebbe che a livello di zootecnia manchi una visione strategica coordinata tra il settore agricoltura e la sanità. Su temi importanti e che richiedono investimenti quali biosicurezza, benessere animale, produttività finalizzata all’ottimizzazione dell’impatto ambientale si chiede di conoscere come si pensa di indirizzare le scelte della Regione?

Vale in parte ciò che ho detto prima sui compartimenti stagni dovuti ad un modello storico di organizzazione della pubblica amministrazione. Non si può prescindere dalle competenze che il Ministero della Salute ha sulla biosicurezza e, di conseguenza, sul benessere animale. Tuttavia spesso il modo stesso di fare le leggi, in maniera fortemente settoriale, non tiene conto degli impatti che queste hanno sull’economia, sulle aziende. Se si decide, correttamente, di imporre misure che implicano interventi strutturali alle imprese, non è sufficiente dare un tempo adeguato per mettersi in regola. Occorre  che si intervenga anche su altri fronti. Mi spiego meglio. Se una legge impone un significativo investimento da parte degli imprenditori agricoli, tutti gli strumenti di aiuto debbono essere coordinati. PSR compresi. Ma non si può fare con interventi episodici. Un PSR ha una validità quinquennale e ci vuole tempo per definirlo, negoziarlo, approvarlo. Insisto da tanto tempo: occorre che in questo Paese si torni, dopo troppi anni, a definire politiche e, conseguentemente, proprio grazie alle politiche, coordinare tutti gli interventi.