Cabella Ligure (AL) (Marco Menduni de Il Secolo XIX) – La rivincita dopo gli anni dell’emergenza contagio non passa solo dalle spiagge e dalle città d’arte strapiene. Parte anche da qua, nell’entroterra, dai piccoli paesi della Val Borbera che si stanno riempiendo di visitatori. Un tempo li avremmo definiti villeggianti e la logica è sempre la stessa: luoghi d’incanto dove poter trascorrere l’estate in serenità. Magari lontano dalle folle tumultuanti del turismo d’elite o viceversa di quello caciarone.
Pace e natura, passeggiate e buona cucina. E buon vino. Così la nostra visita a Cabella inizia proprio dalla piazza centrale di questa località di poco più di cinquecento abitanti che ritualmente si moltiplicano nella bella stagione. Un rito interrotto dal Covid: “L’anno scorso eravamo soltanto noi, a guardarci in faccia l’uno con l’altro”. Ora il viavai è ripreso: “Stanno arrivando, arrivano in tanti, sarà una buona stagione e finalmente è tutto come prima”. Così ha riaperto anche l’albergo Posta, che era stato messo in difficoltà dalle restrizioni imposte dalla diffusione del Coronavirus.
Ha rilevato la gestione l’impresa sociale Casa Madre e, ci spiega Tiziana, “le cose stanno andando bene, forse se lo aspettavano un po’ tutti, abbiamo riaperto il primo giugno e la tendenza è sicuramente positiva”. Poi ci sono i bambini che giocano sul campetto e chi sguazza in piscina; ci spiegano ancora: “In più quest’anno è stato organizzato un gran bel ventaglio di iniziative e di manifestazioni, che stanno riportando qui tutti gli affezionati”. La strada che porta da Arquata Scrivia a Cabella è costellata di paesi e località che accanto al nome portano l’aggettivo “ligure”. Come appunto Cabella. Perché molti Comuni del Basso Piemonte, in realtà in provincia di Alessandria, hanno conservato questa denominazione? La spiegazione più chiara è del professor Franco Bampi, che in un saggio ne fa anche tutti i nomi.
“Albera Ligure, Cabella Ligure, Cantalupo Ligure, Carrega Ligure, Mongiardino Ligure, Roccaforte Ligure, Rocchetta Ligure. Poi Novi Ligure e Parodi Ligure nel Novese. A questi va aggiunto Gavi Ligure. Ma perché questi comuni della provincia di Alessandria hanno l’aggettivo “Ligure” nel loro nome?”, si chiede Bampi. Ed ecco la spiegazione: “La risposta risale alla metà dell’Ottocento. Dopo l’annessione della Repubblica di Genova al Piemonte, stabilita illegittimamente dal Congresso di Vienna nel 1815, il ministro Urbano Rattazzi, alessandrino, decise di ridefinire l’assetto delle circoscrizioni amministrative e con decreto del 1859 dispose che i succitati comuni facessero parte della sua provincia, Alessandria appunto, che così venne ingrandita a discapito della Liguria. Ma per secoli quei comuni e quelle terre appartennero alla Repubblica di Genova oppure furono Feudi Imperiali governati dai Genovesi: la loro gente era e si sentiva ligure”. Qui le radici di una decisione fortemente identitaria: “Quando, per evitare confusione con altri luoghi omonimi dovettero scegliersi un toponimo aggiuntivo, scelsero l’aggettivo “Ligure”.
La scelta fu ratificata nel gennaio del 1863. E non solo quei comuni perse la Liguria: ad essi vanno aggiunti Fiacone (oggi Fraconalto), Bosio, Voltaggio, Vignole e qualche altro”. Se oggi provi a chiedere nelle strade e nei locali, la risposta è sempre la stessa: “In realtà ci sentiamo ancora e sempre un po’ liguri. Dalla parlata per arrivare alla cucina, che è fatta di piatti più legati alle tradizioni della Liguria che a quelle del Piemonte”. Una linea di continuità che si riverbera anche sul turismo. Tutta la zona è sempre stata meta prediletta dai liguri, dai genovesi in particolare. Molti hanno qui una seconda casa. C’è la siccità e c’è davvero poca acqua nel Borbera. Pazienza. Non smorza il desiderio di trascorrere un po’ di tempo sul greto del grosso torrente che dà il nome alla valle. C’è anche un piccolo accampamento di tende canadesi. Lungo la strada le macchine parcheggiano in corrispondenza dei varchi. Quando fa davvero troppo caldo c’è la possibilità di cercare un po’ di frescura in mezzo agli alberi.
C’è anche una capannetta che vende generi di conforto. “Stare qui” racconta Giuseppe arrivato con la sua famiglia “è davvero una beatitudine, un modo di ricaricare le pile. Il mare? Troppo caos, troppo difficile raggiungere le spiagge”. Oppure può essere piacevole una camminata tra i vicoli più stretti, dove il sole fatica a penetrare e si gode un po’ di freschetto. Oppure sul ciglio della strada, a osservare villette eleganti. Oppure, per i più ardimentosi (e magari evitando le ore più torride), affrontare le tante escursioni possibili in questo territorio. Non c’è solo l’intrattenimento. Cabella è anche una piccola capitale culturale e poi qui le vicende storiche s’intrecciano con la lotta partigiana e ci sono molte occasioni per poter ricordare e approfondire. Poi ci sono iniziative singolari che riescono a catalizzare l’attenzione. Questa si chiama bookcrossing. Il segno iconico è rappresentato in pieno centro da un vecchio frigorifero dipinto di rosso e subito accanto c’è una casettina di legno. Dentro libri, tantissimi libri. Questo centro di interscambio gratuito è nato dalla passione di Susanna. I volumi sono d’interesse, la sua iniziativa è stata accolta con rispetto e non soltanto per liberarsi di tomi illeggibili che ingombrano la casa.
Per capire qualcosa di più bisogna inoltrarsi nella pagina Instagram di bookcrossingcabellainpiazza per capirne fino in fondo la filosofia: “Libero libri e gratitudine, libri liberi di trovare persone e nuova vita”. Nasce tutto nel 2019, con quattro amiche che si scambiano i volumi tra di loro e poi una cassetta da frutta lasciata in piazza. Via via l’iniziativa deflagra. Gli abitanti sono entusiasti e Susanna racconta a “Italia che cambia”: “L’angolo si trova proprio davanti alla mia casa d’origine, che oggi è la nostra “residenza estiva”. Un tempo è stato un negozio di ferramenta, chiuso ormai da oltre quindici anni. Il bello è che è iniziato così, un po’ per caso, con una cassettina e da lì sono emersi progetti di scambi di libri, incontri, confronti”. È la filosofia dei tempi. Iniziative di pregio anche decentrate e poi il collante dei social network a farle decollare e a moltiplicare il loro potenziale. Non c’è più bisogno di un unico baricentro, magari in una grande città. Anche Cabella può regalare un intrigo culturale che approda ovunque.E poi ci sono le eccellenze della gastronomia.
Anche il pane? Certo. Gambero Rosso all’argomento ha dedicato un’intera guida (“Pane&Panettieri d’Italia 2023”, il titolo) raccontando di un settore sempre più lungimirante in cui “tradizione e tecnologia, natura e scienza si incontrano” per dare vita alla ricetta vincente. E così annuncia Gambero Rosso: “Il legame tra Pane e Territorio quest’anno lo abbiamo riscontrato in moltissimi panifici. Ottima notizia. Il premio abbiamo deciso di darlo a Irene Calamante, anima e braccia di “Cuore di Pane Bio” a Cabella Ligure”. Il motivo di questa scelta? “Irene usa farine quasi esclusivamente in purezza e macinate a pietra, per specialità quali il Pane Grosso di Tortona con varietà San Pastore, il pane Cabella, il Panis Plebeius di piccolo farro e malto tostato, il Pan legato. Novità è “Social Bakery” un progetto che rimette il pane al centro di una comunità per riqualificare il territorio, i circuiti di filiera corta integrata, i prodotti d’eccellenza, l’artigianalità, l’eticità”. Ricordiamo. Nello scorso maggio, a Gavi, è stato riproposto un menù degli antichi romani. L’intento era di proporre cibi cucinati da chi popolava queste terre duemila anni fa. Irene Calamante si è messa di buona lena per realizzare il libum, basandosi sulla ricetta di Catone il Censore. Poi, prima di ripartire, si può dirigere lo sguardo verso l’imponente edificio del sedicesimo secolo, il Palazzo Doria. È parte integrante del paese ed è sottoposto a tutela da parte del ministero della Cultura. Una storia singolare, la sua.
Nel tempo è stato di proprietà delle famiglie Spinola, Doria e Pallavicini, prima di essere acquistato da Shri Mataji Nirmala Devi nel 1991. Da quel momento l’edificio è stato sottoposto a una serie di opere di riqualificazione. Il Palazzo, chiamato “Castello”, dagli abitanti della zona, è stata la residenza di Shri Mataji per circa vent’ anni. Oggi è una residenza privata, aperta al pellegrinaggio dei numerosi visitatori praticanti la meditazione Sahaja Yoga che giungono a Cabella da tutto il mondo, ma non è visitabile dal pubblico. È la sede della fondazione mondiale dall’interminabile nome di Shri Mataji Nirmala Devi Sahaja Yoga. Quando la “veneranda madre” è morta, nel 2011, il suo entourage ha raccontato: “A Cabella Shri Mataji ha percepito le stesse vibrazioni positive emanate dal Gange, in India, sua terra natia”.

Nella foto una veduta panoramica di Dova, frazione di Cabella Ligure