La rivista Vanity Fair – periodico di costume, cultura, moda e politica – ha dedicato una serie di articoli al dibattito su ambiente, salute, biodiversità e il rapporto con l’agricoltura biologica, di cui ancora  èi n discussione al Senato il nuovo testo di legge. La giornalista Fabiana Salsi che si occupa scrive di food e lifestyle per diverse testate  ha pubblicato questa interessante intervista a Paolo Carnemolla , agronomo e dal 2006 Da marzo 2006 è Presidente di FederBio, l’organizzazione unitaria di rappresentanza a livello nazionale di tutte le associazioni e gli enti dell’agricoltura biologica e biodinamica italiane.

L’intervista di Vanity Fair a Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio

Secondo lei il futuro dell’agricoltura mondiale è bio? Perché?

Si, e non solo secondo me: in ballo c’è il futuro del pianeta e l’agricoltura biologica è l’unica via per permettere all’ambiente in cui viviamo di sopravvivere. Gli studi confermano che può essere anche la risposta alla crescente richiesta di cibo, a patto che contemporaneamente cambino gli stili alimentari. In particolare, è fondamentale ridurre il consumo di carne allevata in modo intensivo perché sono gli allevamenti ad avere un maggiore impatto ecologico. Se i terreni usati per gli allevamenti intensivi e per produrre cibo per questi stessi allevamenti fossero convertiti, ci sarebbe cibo bio per tutti.

Quali sarebbero i vantaggi per l’ambiente e le persone di una conversione totale al biologico?

I vantaggi sarebbero diversi: la biodiversità sarebbe tutelata, l’acqua non sarebbe più inquinata da pesticidi perché l’agricoltura bio non li contempla e inoltre il biologico rispetta gli animali e il loro benessere. Si ristabilirebbe anche il giusto equilibrio tra produzione agricola, tutela delle risorse ambientali e fabbisogno di cibo perché si produrrebbe riducendo gli sprechi. Oggi l’agricoltura convenzionale copre il 97% dei terreni a livello mondiale e produce in eccedenza, ma intanto 800 milioni di persone muoiono di fame e altrettante soffrono di obesità e malattie legate alla cattiva alimentazione. Infine con una conversione totale al biologico sarebbe abbattuto il rischio della contaminazione degli alimenti con le sostanze chimiche tossiche utilizzate nell’agricoltura convenzionale e si supererebbe il pericolo dell’antibiotico-resistenza derivante dall’abuso di questi farmaci negli allevamenti convenzionali intensivi: per l’OMS questa è la più grave emergenza sanitaria globale.

Dal punto di vista nutrizionale, che differenze ci sono tra cibo bio e non bio?


I valori nutrizionali dipendono da un ampio ventaglio di fattori di tipo genetico, dalle tecniche di coltivazione, dall’andamento climatico e dalle zone di produzione: per esempio una varietà di mela ha differenze anche importanti rispetto a un’altra. Oltre a questo, un prodotto di agricoltura convenzionale, coltivato con concimi azotati, oltre a perdere di sapore, è meno nutriente perché vitamine, sali minerali e sostanze antiossidanti come i polifenoli sono più diluiti dalla maggior quantità d’acqua che proprio i fertilizzanti inducono nei tessuti del frutto. Anche per questo un prodotto bio può essere un po’ più piccolo, magari meno lucido, ma è mediamente più gustoso e presenta un contenuto di micronutrienti maggiore.  Uno esempio tra gli eclatanti è il latte: quello proveniente da allevamenti bio ha una composizione di acidi grassi omega 3 – ovvero lipidi “buoni” – più elevata rispetto al latte convenzionale.

Quanto impattano sull’ambiente gli agenti chimici usati in agricoltura convenzionale?

Dipende dalle culture. Nel caso di colture specializzate come verdure e ortaggi l’impatto è rilevante perché si fanno fino a 20 trattamenti chimici a stagione. In particolare, si impatta fortemente sui terreni con diserbanti come il glifosato che inquinano anche le acque e riducono la biodiversità del suolo, poi ci sono altri trattamenti chimici specifici contro gli insetti, che distruggono la biodiversità. È davvero preoccupante la progressiva riduzione di insetti utili come le api e altri impollinatori, sentinelle della biodiversità.

Le coltivazioni bio proibiscono ogni tipo di chimica o ci sono sostanze consentite?

Sono consentiti solo prodotti di origine minerale e naturale specificatamente individuati, quali rame e zolfo: servono a proteggere la pianta dai funghi, ma a differenza dei fungicidi usati in agricoltura convenzionale non sono sistemici, cioè non entrano nel ciclo linfatico della pianta pervadendo anche la polpa dei frutti. Rimangono solo sulla buccia, da dove scompaiono con il semplice lavaggio domestico. In ogni caso, rame e zolfo sono sali minerali normalmente presenti negli alimenti, non sono molecole costruite in laboratorio. Significa che se prendo una mela bio posso lavarla e mangiarla con la buccia con la certezza di non ingerire residui chimici. Secondo i dati ufficiali sui prodotti di produzione italiana, invece, il 60.6% delle mele convenzionali, il 65.5% delle pesche e il 67.9% dell’uva presentano residui di una o più sostanze chimiche di sintesi. Altri trattamenti consentiti in agricoltura biologica sono microrganismi o insetti utili come le coccinelle, che si nutrono di altri insetti che attaccano le piante. Si ricorre anche alla confusione sessuale, diffondendo i feromoni sessuali che emette la femmina dell’insetto bersaglio: il maschio non è più in grado di localizzarla e di fecondarla, e questo è un modo assolutamente «pulito» per evitare la riproduzione di organismi nocivi.

Agricoltura naturale

 

Produzione del Beaufort d’alpeggio -Vacche Tarines-Savoia