Roma (Carlotta Indiano) – Nell’ottobre del 2000 usciva l’ottava puntata della 1° stagione di Futurama, sitcom animata americana, in cui la fine del mondo veniva descritta come la conseguenza della collisione tra una gigantesca palla di rifiuti galleggiante nello spazio e la Terra del 31° secolo. Ma, per alcuni, c’è un’alternativa allo spedire i rifiuti nello spazio: il biometano.
La misura “Sviluppo del biometano, secondo criteri per la promozione dell’economia circolare” del PNRR (Missione 2, Componente 2, Investimento 1.4) si pone come obiettivo di sostenere gli investimenti per la realizzazione di nuovi impianti di produzione di biometano e per la riconversione, totale o parziale, di impianti esistenti a biogas. Si tratta di ben 1,92 miliardi di euro distribuiti attraverso il decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) di gennaio 2023. Le graduatorie dei vincitori dei bandi saranno pubblicate a fine giugno 2023.
Cos’è il biometano e come si produce
“Abbiamo tradito la neutralità tecnologica, rincorrendo troppo spesso una sostenibilità ambientale più che economica, condizionati dagli obiettivi climatici dall’Europa”. Durante il congresso “Biometano da rifiuti organici. Una filiera innovativa per l’economia circolare” organizzato dal Consorzio Italiano Compostatori il 16 marzo insieme al Mase e al Gestore dei servizi energetici (Gse), è intervenuto così l’onorevole di Forza Italia Luca Squeri, segretario della X Commissione alla Camera, auspicando un cambio di rotta grazie alla revisione del Piano nazionale integrato per l’Energia e Clima (Pniec).
A fargli eco, Giovanni Perrella, componente della segreteria tecnica del Dipartimento Energia (DIE) del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (MASE) per cui: “Non sappiamo quale sarà la tecnologia vincente da qui a 10 anni, non sappiamo quale tecnologia riuscirà ad avere costi competitivi per cui dobbiamo percorrere tutte le strade“. La nuova direzione che, con grande gioia del governo italiano, la Commissione Europea ha intrapreso accettando gli efuels come combustibili alternativi all’auto elettrica, risulta particolarmente importante per tutto il settore dell’energia perché apre la strada a soluzioni terze, di transizione appunto, definite tecnologicamente neutre da alcuni comparti del settore energetico.
“Sicuramente il tema di biogas e del biometano è importantissimo e la battaglia sulle auto elettriche deve restituirci tempi compatibili con i nostri sistemi economici. Nel frattempo bisogna investire su tecnologie innovative come il biometano perché dal 2024 vogliamo tutto il gas utilizzato nei trasporti certificabile come bio arrivando a 6 miliardi di biometano, se l’Europa ce lo permetterà”, ha concluso il tecnico del Mase.
Il governo, dunque, punta molto sul biometano – appunto gli 1,92 miliardi del Pnrr – un sottoprodotto “pulito” del biogas, generato a sua volta dalla fermentazione di grandi quantità di rifiuti organici. Il biogas è una miscela costituita da diversi gas, principalmente di metano (circa 50%), a seguire anidride carbonica, ossigeno, acido solforico e azoto.
In generale è possibile produrre biogas con qualsiasi sostanza organica fermentabile, sia d’origine vegetale che animale. La materia prima utilizzata negli impianti è la biomassa che può avere origine agricola come il mais e i cereali, scarti agricoli come la paglia, ma anche animale come gli scarti di macellazione e il liquame in generale. Per quanto riguarda la materia prima di origine agricola, già nel 2013 era stato notato un aumento della competizione nell’uso dei terreni agricoli per la produzione di alimenti, mangimi e agro-energie, che a lungo andare potrebbero sottrarre terreni alla produzione agricola.
Una parte della materia prima per la produzione di biogas deriva, poi, dalla FORSU, la frazione organica di rifiuti solidi urbani.
Proprio di questa frazione si è parlato ampiamente durante tutto il convegno.
Attualmente la maggior parte del biogas viene utilizzato in un cogeneratore per la produzione di energia elettrica, mentre una percentuale viene concentrata attraverso attrezzature dedicate (le unità di upgrading o anche di purificazione) sottraendo tutti gli altri gas ad eccezione del metano: l’obiettivo è di ottenere una miscela con una concentrazione di metano al 97% attraverso diverse tecnologie che portano all’eliminazione della Co2. I metodi di “pulizia” sono diversi: si utilizzano dei sistemi a membrana che funzionando come un setaccio bloccando l’anidride carbonica e favorendo la concentrazione di metano; il lavaggio ad acqua, detto anche scrubbing, che può avvenire anche con altre sostanze chimiche; i metodi criogeni a bassa temperatura e in assenza di solventi chimici per la separazione di metano e Co2. Una volta ottenuta questa separazione il metano potrà essere utilizzato in tre modi: iniettandolo nella rete del gas naturale da cui attingiamo il gas per le nostre cucine, nelle stazioni di servizio come carburante, o infine per la produzione di energia elettrica.

Dalla raccolta differenziata al biometano
Che i rifiuti siano considerati la ricchezza del futuro non è una novità: il primo impianto di biometano da rifiuti è stato costruito nel 1981 negli Stati Uniti, tecnologia approdata poi in Europa nel 1987 con l’impianto di Tilburg-De Spinder, con una capacità di purificazione di 600 metri cubi di biogas oraria, ancora oggi in funzione nei Paesi Bassi. Attualmente in Europa operano circa 280 impianti di produzione di biometano e la quantità prodotta annualmente è circa un miliardo di metri cubi.
Ma, per produrre biometano da scarti organici, è necessario raggiungere una corretta raccolta differenziata dei rifiuti urbani, sia in termini di percentuali che di qualità del prodotto raccolto.

I dati Ispra
Nell’ultimo Rapporto Rifiuti Urbani 2022 dell’Ispra, che descrive i dati relativi all’anno 2021, la produzione di rifiuti urbani ha registrato un disallineamento rispetto alla crescita economica. Pur essendo un dato positivo, la qualità della differenziata raccolta si è abbassata rispetto al passato. Inoltre, in termini di raccolta differenziata nazionale siamo ancora al 64%, obiettivo che doveva essere raggiunto nel 2012 e che fatica a decollare anche per la divergenza di impiantistica tra Nord e Sud.
Secondo la Direttrice del Dipartimento per la Valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale dell’ Ispra, Valeria Frittelloni, relatrice al congresso Cic, è fondamentale verificare anche la differenza tra quanto si raccoglie e quanto si ricicla: rispetto a una raccolta differenziata al 64% ma in crescita, il riciclaggio reale infatti rimane fermo al 48%. La differenza tra i due valori è la quota di scarto, il gap da colmare per poter alzare i livelli di riciclaggio e avere una frazione organica, che rappresenta il 40% di tutta la raccolta differenziata, di qualità. La frazione organica pesa tantissimo sulla qualità della raccolta differenziata perché costituisce circa il 40% dell’intera raccolta differenziata (n.d.r. al 2021), circa 7 milioni di tonnellate.
La composizione del rifiuto organico poi si divide in rifiuto da cucina e mensa (70%), manutenzione di parchi e giardini (26%), e una quantità piccola ma in crescita di compostaggio domestico (3,6%). Il trattamento biologico della frazione organica da raccolta differenziata costituisce il 23% dell’intera gestione dei rifiuti urbani, una frazione ancora molto piccola se si considera l’obiettivo nazionale di riciclaggio al 65% previsto dal Piano nazionale per la gestione dei rifiuti entro il 2035.

Il trattamento della frazione organica
Il 23% dell’intero trattamento dei rifiuti è costituito, dunque, dalla gestione della frazione organica: negli ultimi anni, anche grazie agli incentivi agli impianti di biogas, gli impianti di trattamento integrato, cioè che comprendono anche la purificazione del biogas per la produzione di biometano sono aumentati. Oggi in Italia ci sono 367 impianti di trattamento di cui 293 di compostaggio, storicamente più diffusi, 42 impianti integrati,  realizzati soprattutto al Nord del paese, mentre 21 sono gli impianti di digestione anaerobica per la produzione di biogas, di cui 18 solo al Nord Italia. Motivo per cui, la maggior parte degli incentivi per gli impianti di trattamento di rifiuti andranno al centro e al Sud Italia.
In questi impianti si producono 136 milioni Nm3 di biogas e biometano, di cui circa 92 milioni di Nm3 sono immessi direttamente nella rete di distribuzione, mentre il restante viene utilizzato per l’autotrazione, circa 44 milioni Nm3. Come riportato dalla ricercatrice Ispra, mentre la differenza tra la raccolta di frazione organica pro capite nazionale non differisce di molto tra Nord e Sud, – 128 chili al Nord, 119 al centro e 110 al Sud – , il dato interessante sta proprio nel trattamento pro capite: 167 chili al nord, 69 chili al centro e 71 al Sud, a conferma della disparità impiantistica da colmare.
Un altro elemento da tenere in considerazione, è la capacità autorizzata degli impianti. Per Massimo Centemero, Direttore Generale Consorzio Italiano Compositori, c’è sempre stato un rapporto biunivoco tra l’aumento del rifiuto organico e l’aumento dell’impiantistica, mentre grazie agli incentivi sul biometano e alla conversione di alcuni impianti, la correlazione sta cambiando. La frazione organica, infatti, finisce per la maggior parte in impianti di compostaggio traduzionali (293) che trattano circa 4 milioni di tonnellate all’anno e producono solamente compost, mentre la restante parte di rifiuto organico (anche qui siamo sui 4 milioni di tonnellate trattate) finisce in impianti che riescono a produrre sia compost che biogas, a ciclo integrato. Gli impianti di compostaggio hanno una capacità autorizzata di più di 6 milioni di tonnellate, producendo un milione e 400.000 tonnellate di compost, mentre gli impianti integrati hanno una capacità autorizzata di 5 milioni di tonnellate, producendo 700.000 tonnellate di compost e 406 milioni Nm3 di biogas, che diventa energia.
Il dato finale è che da 406 milioni Nm3 di biogas otteniamo 136 milioni Nm3 di biometano, più 440 gigawatt di energia elettrica e 125 gigawatt di energia termica.
Secondo il dati del Cic, quindi, c’è una capacità autorizzata degli impianti sovradimensionata a 11 milioni di tonnellate che consentirebbe di accogliere quantità di materiali di matrice organica superiore al tonnellaggio attuale. Dati “eccezionali” come li definisce lo stesso direttore del Consorzio, secondo cui l’efficienza di intercettazione dei rifiuti organici è tra le più alte d’Europa, per cui il Cic prevede un aumento di un milione di tonnellate di frazione umida da trattare entro il 2025.
Dati alla mano, la quantità di biometano utilizzata in Italia proveniente da scarti organici rimane ancora molto bassa, soprattutto se le percentuali di arrivo sono quelle citate dai tecnici del Mase. Il biometano, che è da considerarsi un combustibile sintetico avanzato, dovrebbe essere prodotto in enormi quantità per poter andare a sostituirsi a una parte di carburante usato per l’autotrazione e, secondo Nicola Armaroli, ricercatore del CNR, se guardiamo agli attuali consumi dei Paesi Europei non c’è alcuna possibilità che i combustibili sintetici possano essere una soluzione di transizione: non abbiamo abbastanza scarti da biomassa.
Non che il biometano non possa essere considerato una soluzione “pulita”, ma il processo di conversione da biogas rimane ancora piuttosto lungo e dispendioso, minando di molto l’efficienza come fonte di energia rinnovabile.