Milano – Il problema delle auto elettriche sono le batterie a causa del loro iter produttivo, delle materie prime e dello smaltimento. Molti sottoprodotti, come i separatori in polipropilene e policarbonato, ampiamente utilizzati nelle batterie agli ioni di litio, impiegano centinaia o migliaia di anni per degradarsi e ovviamente aumentano il carico ambientale. In una parola: inquinano. Tutto questo senza considerare appunto tutta la fase produttiva e l’estrazione di materie prime fondamentali, come il cobalto, caratterizzate da violazione dei diritti umani, lavoro minorile e condizioni di semi-schiavitù per centinaia di migliaia di lavoratori e minatori. Problemi che riguardano tutti i dispositivi equipaggiati con batterie agli ioni di litio, giunte ormai al picco del loro sviluppo, non solo quelle utilizzate nelle vetture. Ma è arrivato lui, Liangbing Hu, direttore del Centro per l’innovazione dei materiali dell’università del Maryland, che ha presentato una batteria più facilmente biodegradabile di quelle attuali. Come mai riesce a “tornare negli ecosistemi” in modo più semplice e veloce? Facile: è fatta di gusci di granchio nel ruolo di elettroliti. Cioè di mezzo o sostanza in grado di far circolare gli ioni, le particelle cariche, fra i due poli e generare così energia elettrica. “Il chitosano è un prodotto derivato della chitina – ha spiegato Hu – la chitina ha molte fonti, comprese le pareti cellulari dei funghi, gli esoscheletri dei crostacei e i tentacoli dei calamari”. La fonte più abbondante di chitosano si trova proprio negli esoscheletri dei crostacei come nei carapaci di aragosta cremisi e appunto gusci di granchio. L’obiettivo è dunque utilizzare i rifiuti di crostacei e frutti di mare per estrarre chitosano da sfruttare come elettrolita in batterie dal tenore ben più “bio” di altre.